lunedì 2 agosto 2010

Golconda


Uno spazio indefinito, uomini vestiti di nero davanti a leggii scuri, un registro e una penna alla mano. Il gate 31 di Malpensa riservato alle compagnie aeree israeliane sembra una Golconda del XXI secolo, l’anticamera delle ansie di un paese in guerra.

Le domande si ripetono monocolori. Il punteggio dato al sospetto è tra 1 e 6. Interrogatori, perquisizioni, post-interrogatori. I miei jeans vengono passati allo scanner per le impunture in metallo un’infinità di volte (mannaggia alla Diesel), con il mio 6 resto in mutande gialle per un’ora, mentre osservo le brochures sulle bellezze di Israele impilate con ordine nel camerino.
Comprendo a fondo la paura di nuovi morti innocenti e acconsento di buon grado ai controlli.

Poi alzo gli occhi e vedo una donna brasiliana che avrà 70 anni, malata di cuore, sospetta per avere un cognome di origine libanese, a cui confischeranno bagaglio e medicine per cinque giorni. Vicino a me una ragazza giovanissima, con uno spiccato accento americano, origine palestinese. Dall’altra parte una coppia giordana, fino all’ultimo non vengono fatti partire. Nessun altro. Mi viene il sospetto sul sospetto.

I nostri bagagli saranno trattenuti per una settimana in un limbo spaziale.
Non si può sapere che fine hanno fatto perché i codici che li individuano sono criptati.
Non si può sapere il perché, andrebbe a violare il lavoro della security.
La security non si può contattare perché è esterna alla compagnia aerea.
Certo,penso, c’è a chi va peggio. Molto peggio. Tipo ai palestinesi nei Territori.

Una voce pacata di Israir alla fine mi dà un consiglio: “l’unica soluzione, cara signora, è scegliere di volare con altre compagnie aeree”. Un po’ come se all’ufficio clienti di Lufthansa consigliassero di volare con Meridiana.

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