giovedì 4 novembre 2010

Il mondo che non cambia


Ascolto la musica dolce di una canzone libanese.
Sdraiata su una pietra ancora calda di Al Quds, al sole del pomeriggio.
Leggo Doris Lessing che parla di apartheid, e trovo inquietanti similitudini.
Vengo sapere dei risultati midterm americani.

Mi sembra che il mondo non faccia che perdersi opportunità.
Guardo un paese di palestinesi stanchi e senza speranza, che si allontanano in bicletta al tramonto e che si umiliano in trattative sbilanciate, con i giovani che chiedono lo Stato unificato e i vecchi che ormai non credono più nemmeno all'Intifada. Penso alla speranza in un'epoca storica equa, positivista e postrazziale, riformatrice e democratica - a come da sempre venga massacrata.

Netanyahu già aveva prenotato da tempo l'aereo per gli Stati Uniti.
Oggi in alcuni quartieri di Gerusalemme Ovest brindano, e nella colonia di Male Adumim festeggiano la fine del "musulmano Barak", preparando i mattoni da costruzione.
Si sussurra a Israele che va bene così e si ricomincia da capo con l'Iran, in una storia infinita di giochi di potere dalla quale l'America del Thanks Giving Day non riesce proprio ad emanciparsi.

2 commenti:

  1. Articolo tondo, pulito, disegnato con grazia e con un sentimento discreto eppure vivissimo. Un solo appunto. Usa poco la parola speranza, è una brutta parola, è una trappola inventata dai padroni o da chi comanda, perché la sede del riscatto sia altrove. E domani. Me l'ha insegnato Monicelli

    RispondiElimina
  2. grazie del commento Anonimo, la uso spesso la parola speranza, in effetti forse non piace nemmeno a me.

    RispondiElimina