mercoledì 22 dicembre 2010

Il Natale di Maria


Maria l'ho incontrata sul treno Milano Torino.
Mi ha detto di non avere un nome e cosi anche io le ho detto che non avevo un nome. Poi ce ne siamo inventate uno per l'occasione: io Mandorla e lei Maria, come 'a madonna.

Maria ha sei anni e viene da quella parte di Napoli che a nessuno piace vedere.
E' analfabeta e chiede l'elemosina a un vagone di distanza dalla sua famiglia.
Vorrebbe giocare, ma la madre alcolizzata non la vede.
Quando le racconto la storia di Nihal e del suo giardino segreto nel lontano Pakistan gli occhi neri, attentissimi, brillano di curiosità.
Ma chennesai tu d'u munno.

Maria è la bambina palestinese che ho incontrato nel campo di rifugiati in Palestina, è la ragazzina rom con la felpa bagnata dalla neve all'ingresso della metro, è la piccola cingalese che vende rose a Porta Palazzo.

Buon Natale Maria.

martedì 7 dicembre 2010

La leggenda del profeta di Piazzano


In un giorno nebbioso di questi, tra le colline e il freddo che ti toglie la voglia, trovo un'iscrizione nel muschio e tufo:

«In questa casa nacque il 2 giugno 1743 Giovan Battista Boetti, che sotto il nome Profeta Mansur, Sheikh-Oghan-Oolò, alla testa di ottantamila uomini, conquistò l’Armenia, il Kurdistan, la Georgia e la Circassia e vi regnò per sei anni qual sovrano assoluto. Morì nel 1798 a Solowetsk nel Mar Nero».

Il Boetti. Partì frate e arrivò fino a Mosul, in Iraq. Imparò l'arabo come gli Arabi e mangiò tanto montone da sentirsi sempre a casa.
Fu in Georgia, Armenia, Turchia, Algeria, Persia....alcuni lo dissero trafficante d'armi, chi profeta di una nuova religione a metà tra l'Islam e il Cristianesimo, chi ancora massacratore di Curdi, eroe nazionale ceceno, condottiero e conquistatore, ambasciatore di sè stesso, esploratore.

Ma di chi fosse spia, per chi lavorasse, cosa cercasse davvero, non lo si seppe mai. Conosceva tutte le feluche d'Oriente, incontrò mercanti e truffatori, mosse le carte cosi bene da confondere politica e territori, da impaurire grandi come Caterina di Russia. Da mozzare teste di dignitari del Sultano. Nel Settecento torbido e assetato di terre fu leggenda.
MOrì incarcerato in quello che poi fu il primo gulag di Stalin.

Mi ricorda Julien Assange, questo Boetti.

lunedì 15 novembre 2010

Arte russa a colazione


Undici persone in piedi a cantare l'Internazionale sotto la neve, su sgabelli che cercano di portarli alla stessa altezza.
Letto di Procuste postmoderno.

Fallita la financial equity ora sembra surreale anche la civil equity per i giovani russi. Gli undici stanno lì, a smentire ogni forma di egualitarismo eppure collaborativi e remissivi.

Una delle opere di Elena Kovylina, artista della new wave russa.

lunedì 8 novembre 2010

Il nuovo Far West


Arrivare nel Negev è come atterrare su Marte.
E' il grande spazio che si sognava da bambini, quello senza regole e inosservato in cui fare esplodere, nascondere, sperimentare, inventare ciò che si vuole.

Israele qui ha basi nucleari controllate da occhi invisibili, industrie chimiche senza supervisione, qui vengono fatte le maggiori esercitazioni militari del paese. Qui si vuole giocare indistrurbati e i beduini non sono inclusi nel piano.

Per questo ci sono i Green Patrol: polizia speciale con il compito di contrastare l' "infiltrazione" dei villaggi in aree di interesse israeliano. I beduini sono squatter, occupanti, e vanno cacciati. Parliamo di migliaia di villaggi rimossi con le ruspe, di tribù di vecchi e bambini deportate in aree senza i servizi essenziali e mangiate dalla desertificazione, di popolazioni lasciate senza acqua, confinate con le loro precarie baraccopoli al limitare delle poche città.

Il Negev sarà dei 350.000 israeliani a cui è stato promesso e ad altri che verranno da Gaza. Nasceranno osasi con prodotti tropicali e città perfette come la Svizzera. Nasceranno comunità felici e ignare. E avranno i Green Patrol a garantire la sicurezza, che nel caso irroreranno le comunità in cerca di cibo con veleni che uccidono piante e persone.

In un vago ricordo del Removal Act sudafricano mi sento un pò il deserto dentro...

n.d.r. Proprio nel Negev è stato da poco testato l'Iron Dome, sistema a cupola di difesa missilistica.

giovedì 4 novembre 2010

Il mondo che non cambia


Ascolto la musica dolce di una canzone libanese.
Sdraiata su una pietra ancora calda di Al Quds, al sole del pomeriggio.
Leggo Doris Lessing che parla di apartheid, e trovo inquietanti similitudini.
Vengo sapere dei risultati midterm americani.

Mi sembra che il mondo non faccia che perdersi opportunità.
Guardo un paese di palestinesi stanchi e senza speranza, che si allontanano in bicletta al tramonto e che si umiliano in trattative sbilanciate, con i giovani che chiedono lo Stato unificato e i vecchi che ormai non credono più nemmeno all'Intifada. Penso alla speranza in un'epoca storica equa, positivista e postrazziale, riformatrice e democratica - a come da sempre venga massacrata.

Netanyahu già aveva prenotato da tempo l'aereo per gli Stati Uniti.
Oggi in alcuni quartieri di Gerusalemme Ovest brindano, e nella colonia di Male Adumim festeggiano la fine del "musulmano Barak", preparando i mattoni da costruzione.
Si sussurra a Israele che va bene così e si ricomincia da capo con l'Iran, in una storia infinita di giochi di potere dalla quale l'America del Thanks Giving Day non riesce proprio ad emanciparsi.

lunedì 25 ottobre 2010

La casa di Omar


Omar vive in una casetta a Wajala.
Al Wajala, dopo il 1948, è un vilaggio di quasi duemila anime, rifugiati, che sta quattro chilometri a nord di Betlemme.

Fu diviso in due nel 1967: metà sotto Gerusalemme e metà sotto la Cisgiordania. Gli abitanti sotto Gerusalemme restano senza ID e senza permessi di costruzione.
Iniziano demolizioni e incarcerazioni.
Intanto nel 2004 si da' il via alla grande colonia di Givat Yael, proprio a ridosso del villaggio, con un'espansione che in 3 anni ha fatto raddoppiare la sua popolazione e che segue un interessante piano urbano a ferro di cavallo. Non c'è più l'accesso ai campi di ulivi nè alle attivià di commercio, e gli abitanti vanno ad aiutare gli Israeliani a costruire il Muro.
E poi c'è il Muro, che invece che andare dritto come tutti muri, circonda i pezzi di terra, e ingloba.

Omar se ne resta lì, sulla cima della sua collina a guardare, contando le ruspe che spianano la polvere intorno.
E chiede al governo israeliano che deve fare.
Gli dicono di non preoccuparsi, a Omar, non dovrà lasciare la casa. La circonderanno con un muro dal raggio 10 metri e avrà 4 uscite, controllate.

mercoledì 13 ottobre 2010

La foresta dei cedri di Dio


Si racconta che in Libano ci fosse una foresta di cedri immensa, che copriva tutto il Monte Libano e scendeva lungo la valle di Quadisha e che dal legno di quegli alberi secolari sia nato il Tempio di Salomone. La foresta fu saccheggiata negli anni da Assiri, Babilonesi, Egizi, Turchi, perche' il legno era considerato sacro.
Ora non restano che pochi alberi.

Ahmadinejad arriva in visita ufficiale per la prima volta nel sud, roccaforte di Hezbollah e viene accolto con bandiere inneggianti alla resistenza islamica e scritte in persiano. A nord, vicino a Tripoli, i cartelli invece urlano che la "wilayat-al-faquih" non e' benvenuta.
Libano spaccato, sunnita e sciita.

La Siria ballerina, dopo un coup de folie per l'Arabia Saudita, torna al vecchio alleato iraniano, opponendosi al Tribunale speciale che vede come maggiori responsabili dell'uccisione di Hariri proprio Hezbollah. La Turchia ha gia' cambiato posto da un po'. L'Arabia Saudita ha piu' interessi con gli yankee.

La nuova formula si delinea: Arabia Saudita - sunniti+Hariri - USA e dall'altra parte Siria - sciiti+Hezbollah - Iran. Il Libano diventa importante per entrambe le potenze mediorientali.

Il paese dei Cedri mi ricorda quella foresta depredata.

La Foresta dei Cedri sta anche nell'Epopea di Giglamesh, un magnifico poema epico di piu' di 4000 anni fa.

lunedì 11 ottobre 2010

Il segreto di Mar Saba


Tra paesini dimenticati in mezzo a ulivi e deserto, greggi e mulattiere, cani randagi e asini, Mar Saba viene fuori dal silenzio come una rivelazione.

Questo monastero greco-ortodosso da duemila anni in mezzo al deserto, ancora vietato alle donne e abitato da pochi monaci, incastrato nella roccia a picco sulla valle di Kidron mi risveglia la spiritualita'.
Ma ancora di piu' mi stuzzica il suo segreto.

Si dice infatti che venisse da qui la Lettera di San Saba, attribuita a Clemente di Alessandria, unica testimonianza dell'esistenza di un Vangelo segreto di Marco, una versione per cosi dire "piu' spirituale" degli episodi della vita di Gesu'. O forse una versione censurata.

Nei frammenti della lettera si parla del giovane resuscitato da Gesu' e si narra che "... il giovane ando' da lui indossando un panno di lino sul corpo nudo. E rimase con lui quella notte, in quanto Gesu' gli insegno' il mistero del Regno di Dio". La lettera negli anni sparisce, dopo le prime accuse di diffondere l'idea che Gesu' praticasse l'omosessualita'. E nel Vangelo di Marco restano molte lacune tra gli episodi, che fanno pensare all'esistenza di una versione piu' antica.

Probabilmente il tutto ha che fare con la setta dei Carpocraziani, che tra l'altro erano originari di Alessandria d'Egitto, estremisti dai quali la dottrina si voleva allontanare, ma forse invece il Vangelo segreto fu fatto sparire in tempi molto piu' recenti.
Da leggere "The Mystery of Mar Saba", di J. Hunter.

NdR Dottrina carpocraziana: le anime, per poter uscire dal ciclo della reincarnazione, devono soltando accettare passivamente i loro desideri. Libertinaggio sessuale e rifiuto delle regole sociali.
Edonisti anarchichi, insomma.

venerdì 8 ottobre 2010

Lieberman e il giuramento



Questa proprio bisognava raccontala, e ci ha pensato Alberto Stabile su Repubblica.

Per diventare cittadini israeliani non basta piu' il vecchio giuramento: "Prometto di essere leale allo stato d'Israele e alle sue leggi". No no, no.
Adesso la nuova formula deve essere "Giuro di rispettare le leggi dello Stato d'Israele come Stato ebraico e democratico".
Evabbene, bisogna anche dire che e' democratico ed ebraico. Una bella provocazione per tutta la parte araba.

Il fatto e' che devono giurare solo gli arabi-israeliani, non ad esempio gli aliah, gli ebrei che costituiscono la cosiddetta immigrazione di ritorno in Israele, che pur chiedono la cittadinanza anche loro.

Un po' come a Ben Gurion, la discriminante sta sempre nel dove mettersi in coda.

Articolo Alberto Stabile

Shuaia Shuaia


Ma cosa stanno aspettando Netanyahu e Abu Mazen seduti a quel tavolo?
Un caffe'?
No, stanno aspettando i risultati midterm degli elettori americani.

Essi. L'America e' ancora a capotavola nelle faccende mediorientali: con la maggioranza repubblicana Netanyahu avra' gioco fatto, se invece Obama resiste forse Abu Mazen e la Lega Araba potranno avanzare richieste su uno stato palestinese, come da promessa elettorale.

Shuaia Shuaia. Adelante, ma con calma.

La storia interessante pero' e' nel boccone offerto alla trattativa.
Al governo israeliano, per fermare di due mesi (due mesi) la costruzione delle colonie, si offre il controllo militare sulla valle del Giordano, l'aumento dei gia' ingenti aiuti militari (sono gia' intorno ai 3.5 miliardi di dollari all'anno) armi tecnologiche, la riapertura dei permessi ad andare avanti con le colonie dopo la pausa, il riassorbimento dei grandi insediamenti esistenti, un occhio chiuso sul continuo aumento di zone C in Cisgiordania.
Una torta alla crema.
E ad Abu Mazen? Il congelamento di due mesi.
E l'utopia del riconoscimento di uno stato.
I Palestinesi un po' perplessi se ne stanno sull'uscio, chiedendosi come mai il presidente del ANP sta ancora ad aspettare il caffe'.

Shuaia Shuaia.

E in Italia? In Italia organizziamo la maratona bipartisan per la legittimazione dello stato di Israele.

mercoledì 6 ottobre 2010

L'era del bullo



Mi e'sempre piaciuta questa immagine di Oliviero Toscani.
Iconografia della differenza.

Incontrare a Gerusalemme un brillante italiano quarantenne, politicamente destrofilo, lavorativamente politically correct, di buona cultura e di passato internazionale che sostiene che "le donne che si ubriacano e poi denunciano la violenza sessuale sono tutte troie" mi ha dato la netta percezione di un punto di arrivo. Di un fondale.

E io davanti ad un gelato alla crema che mi si e' sciolto in mano, sono rimasta li con miei rapidi flash: il nostro premier che inneggia alla donna sex toy, il documentario della Zanardi, le croci rosa in fila a Ciutad Juarez, tutte le uccisioni avvenute in questa estate calda e violenta in Italia, donne seguite, perseguitate e infine uccise, mia mamma e la sua piccola campagna per Cascina Graziella, la mia amica Valentina.

Non sono riuscita a formulare nemmeno un approccio di dialogo, sono rimasta li, come una pera. Siamo all'era del bullo o siamo andati troppo oltre?


Valentina e' un'amica che non ce' piu', vittima di violenza sessuale.
Questa l'associazione nata dalla sua storia, dai suoi disegni, dai suoi scritti:
http://www.alberodivalentina.it/

Questo il progetto di Cascina Graziella in collaborazione con Libera:
http://liberapiemonte.it/2009/03/29/asti-ricorda-graziella-campagna/

lunedì 20 settembre 2010

Missing dance



Mi manca la danza.
Mi manca danzare, soprattutto, per sentire il mio corpo vivo, ma anche fruire della bellezza della danza.
Mi manca il respiro che si sente dal palco alle Fonderie Limone, mi mancano le espressioni di godimento dei ballerini e mi manca l'immagine dei muscoli tesi allo spasimo. Sudore, musica, nervi.


A Torino per gli amatori c'e' un Festival che quest'anno ha un programma magnifico, da non perdere: compagnia Rosas, les ballets C de la B, Maguy Marin. Formalizzaizone estetica, eterno dualismo dolore/riscatto, un po' di dance amarcord. Intrecci di corpi, costumi e creativita', provocazioni che qui a Gerusalemme non sono concesse.

Un Festival di danza, sono d'accordo con Cristoforetti, porta speranza e un po' di grazia in un periodo di un buio quasi medievale.

http://www.torinodanzafestival.it/

martedì 14 settembre 2010

Il falafel bipartisan in Monferrato



400g di ceci
1 cipolla tritata
2 spicchi d'aglio
un pizzico di cumino
un pò di coriandolo macinato e di prezzemolo
sale&pepe

Kosher e halal, le polpettine fritte sono una delle poche cose che piacciono a israeliani e palestinesi, una linea gastronomica di accordo. Si frigge nei Territori e si frigge a Tel Aviv, a Jaffa come a Hebron. Certo ognuno dei popoli lo rivendica come cibo nazionale (in realtà fonti testimoniano la nascita in Egitto) ma che importa, in tempo di negoziati pensiamo a ciò che unisce.
I falafil o falafel si trovano ad ogni angolo di Gerusalemme, la Gerusalemme divisa, e profumano di tregua, invitano a sedersi e a sgranocchiare qualche cetriolo sotto aceto. Sfrigolano caldi sul palato, dopo aver galleggiato sereni nell'olio nero.

Mordo il mio primo esperimento di falafel in un campo di grano sulle colline del Monferrato, il sole tiepido mi scalda i capelli e il verde, finalmente il verde, disseta la mia vista inaridita da pietre e rosmarini. La "terra brusataia" non mi manca, ma quel sapore mi rappacifica con il mondo, e mi rimanda a questa Gerusalemme di fine Eid e vicina allo Yom Kippur.

Sono presa da una sensazione di globalizzazione che quasi mi manda di traverso la polpettina. Eppur mi piace pensare oggi a tutto quello che israeliani e palestinesi hanno in comune.
E da brava italiana inizio dal cibo.

domenica 5 settembre 2010

Ramadan Kareem



Ecco si tratta di un momento.
E la Gerusalemme araba all'improvviso assorbe tutto, come una spugna: i rumori, il traffico, le luci, le grida dei venditori ambulanti, i clacson.
E si fa silenzio.

E' durante la cena dell'Iftar che mi innamoro ancora di questa città. Passegiando lungo le vie strette che portano verso Wadi al Joz, quando il sole trasforma la pietra bianca in rosa tra i canti della preghiera della sera. Scivolando lenta lungo le mura della città vecchia fino alla porta del Leone, salendo cauta fino al Monte degli Ulivi.

Da dentro le case si sente solo il rumore dello sbattere dei piatti e dei bicchieri, a volte musica, come ancora succede nei vecchi quartieri della piccola Trino, quando l'ora della cena è unica e sacra, da consumare in silenzio.

La sera del Ramadan mi lascia spazio alla mente, e io infine respiro.
E mi sembra di sentire fortissimo il profumo del gelsomino in fiore.

venerdì 3 settembre 2010

Jerusalem: boiling point



Gli elicotteri passano sopra il cielo surriscaldato di Gerusalemme a giri stretti, volando radenti ai tetti delle case. Le strade che vanno alla Citta’ Santa sono quasi tutte bloccate al traffico, cosi’ come lo e’ stata fino a mezz’ora fa l’arteria principale, la Road number 1, che collega Al Quds con Jerusaleim. I clacson urlano ai check point volanti e la gente per le strade va avanti veloce, molto veloce, testa bassa e hummus per l’iftar sotto il braccio.

La paura di nuovi attentati si mescola al sudore e ai volti tirati di questo difficile Ramadan, messo a dura prova dal caldo infernale. Ma la sensazione da qui e’ che non si stia aspettando proprio nulla.
Niente Inshallah.

Tramballi nel bell’articolo di questa mattina scrive che “non esiste nella storia un conflitto che duri per sempre. Ma esiste l'assuefazione al conflitto, che e' peggio. Sessant'anni anni sono tanti, un deserto dei tartari fatto di attese vane, sempre a scrutare l'orizzonte. E intanto la frammentazione interna, le uccisioni, i coloni sempre piu' numerosi e sempre piu' legittimati, i governi corrotti completano il quadro.

Hamas andava invitato ai negoziati? Kupchan pensa di si, "una mossa politica per costringerli ad assumersi le loro responsabilita’ e ad uscire allo scoperto con le loro reali intenzioni". Forse lo penso anche io. Non credo che si possa giocare con Gaza come se fosse una pedina senza testa. Non credo si possa ignorare un partito regolarmente eletto, anche se fatto di estremisti islamici. Non credo ci si possa semplicemente girare dall'altra parte. L'Iran oltretutto soffia sul collo di Obama da tempo, l'Iraq e'ora abbandonato ed esplosivo, l'Afghanistan un problema irrisolto.
La "destabilizzazione del Medioriente".

Lascio aperto il questito alle vostre opinioni.

lunedì 2 agosto 2010

E se un giorno a Ramallah...



..da una strada coperta di sole e rottami comparissero bambini palestinesi vestiti da draghi, fate, gnomi, giganti rossi con le squame gialle, pipistrelli verdi su altissimi trampoli?

Il carnevale nel campo profughi di Al Amari organizzato dai ragazzi di Le mond autrement mi ha riempito l'animo di poesia.

Golconda


Uno spazio indefinito, uomini vestiti di nero davanti a leggii scuri, un registro e una penna alla mano. Il gate 31 di Malpensa riservato alle compagnie aeree israeliane sembra una Golconda del XXI secolo, l’anticamera delle ansie di un paese in guerra.

Le domande si ripetono monocolori. Il punteggio dato al sospetto è tra 1 e 6. Interrogatori, perquisizioni, post-interrogatori. I miei jeans vengono passati allo scanner per le impunture in metallo un’infinità di volte (mannaggia alla Diesel), con il mio 6 resto in mutande gialle per un’ora, mentre osservo le brochures sulle bellezze di Israele impilate con ordine nel camerino.
Comprendo a fondo la paura di nuovi morti innocenti e acconsento di buon grado ai controlli.

Poi alzo gli occhi e vedo una donna brasiliana che avrà 70 anni, malata di cuore, sospetta per avere un cognome di origine libanese, a cui confischeranno bagaglio e medicine per cinque giorni. Vicino a me una ragazza giovanissima, con uno spiccato accento americano, origine palestinese. Dall’altra parte una coppia giordana, fino all’ultimo non vengono fatti partire. Nessun altro. Mi viene il sospetto sul sospetto.

I nostri bagagli saranno trattenuti per una settimana in un limbo spaziale.
Non si può sapere che fine hanno fatto perché i codici che li individuano sono criptati.
Non si può sapere il perché, andrebbe a violare il lavoro della security.
La security non si può contattare perché è esterna alla compagnia aerea.
Certo,penso, c’è a chi va peggio. Molto peggio. Tipo ai palestinesi nei Territori.

Una voce pacata di Israir alla fine mi dà un consiglio: “l’unica soluzione, cara signora, è scegliere di volare con altre compagnie aeree”. Un po’ come se all’ufficio clienti di Lufthansa consigliassero di volare con Meridiana.

sabato 10 luglio 2010

Li chiamavano Neet



Vuol dire not in employment, education or training, che in inglese suona ancora meglio, ed è la sintesi descrittiva dei giovani del 2010. Ogni epoca ha le sue etichette piazzate sulla fronte, direte voi: dopo i punk, i figli dei fiori e gli anarchici ora ci sono i neet. Orde sconfortate di under 30 lontani anni luce dalla politica, troppo impegnati a cercarsi un modo qualsiasi per sbarcare il lunario.

Mi immagino allora uno di questi umanoidi piazzato in un museo del futuro, sotto formalina, con su scritto: specie-uomo, sottospecie-giovane 25/35, caratteristiche comportamentali-cazzeggio senza evidenti segni di rimorso. Pare che questi giovani infatti siano inattivi cioè abbiano perso anche la volontà di cercare lavoro. Certo, al visitatore attento balzerà anche alla mente che si parlava di un ecosistema Italia, in cui predominava una disoccupazione del 9,1% + tanto sconforto, e allora inizierà a pensare a come si poteva sopravvivere in quell’epoca buia e gerontocratica.

Forse leggere l’articolo di Curzio Maltese sul venerdì del 2 luglio (Aspettando la rivolta dei giovani)risveglierà le coscienze, la mia è già piuttosto perplessa.

venerdì 18 giugno 2010

Le bambine e il muro


Si potrebbe intitolare cosi’ la brutta faccenda tra ultraortodossi che ha messo in subbuglio la zona gerosolimitana nei pressi della sede della Corte Suprema.

Il fatto, in breve: in una scuola della colonia ortodossa di Emmanuel (in un paesino della Cisgiordania intitolata ai “percorsi di pace”) si va a sapere che le giovani studenti giocavano nell’intervallo separate da un muro. Perché? Perché alcune sefardite e altre ashkenazite. Significa che se nell’equazione religiosa manteniamo lo stesso valore “ortodossia”, quello che cambia é il valore “origine”: le prime di origine araba, le seconde di origine europea. Gli zelanti genitori ashkenaziti in breve non volevano che le loro bambine fossero in qualche modo intaccate nella spiritualita’ da altre bambine che potevano aver avuto un’educazione diversa, che non si vestivano adeguatamente e che forse guardavano pure la televisione. E cosi’ hanno chiesto di tirare su un muro, sistema ufficile per dimostrare il dissenso.

Pensiero: il fatto che alla storia abbia fatto seguito l'incarcerazione di un'ottantina di ortodossi per violazione dei principi di laicità sull'educazione scolastica non mi ha dato troppa pace. Mi imagino infatti vivere da bambina in un paese fatto già di mille conflitti, con un Muro con la M maiuscola che mi impedisce di avere amichette palestinesi del cancello a fianco. Aggiungo alla mia vita la forzata lontananza anche dalle amiche ebree, quelle non ortodosse, che magari stanno al piano di sopra.Infine mi vedo separare anche dalle compagne di classe meno spirituali.

A parte la dimostrazione del vecchio principio di come ci sia sempre “qualcuno piú a sud” di te, generatore di frammentazioni infinite, ma ci devono sempre andare di mezzo le bambine?

martedì 15 giugno 2010

Kullna fi lhawa sawa



Kullna fi lhawa sawa in arabo significa “respiriamo tutti la stessa aria”, siamo tutti nella stessa condizione. E hawa vuol dire "aria" ma anche "amore". Mi fermo a pensare a questa coincidenza semantica mentre guardo la città divisa da muri, linee, filo spinato, divieti, sbarre, diffidenze, invasioni e mi rendo conto di quanto l’aria diventi importante qui, di come sia una questione di centimetri.

Si sfiorano continuamente, si affiancano, si incrociano, tracciano con i loro passi percorsi e linee che evitano accuratamente di toccarsi, ma anche di procedere per troppo tampo in parallelo. Visti dall'alto i loro movimenti devono sembrare le linee fluorescenti di un videogame, che hanno per forza sempre angoli retti, come in snake. E proprio come accade in snake ci si ciba sempre più di un pezzetto d'aria che appartiene all'Altro, è la regola del gioco, per fare allungare la coda del serpente.

Quanto è dolce allora kullna fi lhawa sawa e quanto suona di antico.
Magari vuole anche dire "respiriamo tutti lo stesso amore"?

sabato 12 giugno 2010

E se tutto fosse un Big Game mediatico?


Sono in Medioriente da pochi mesi, a Gerusalemme.
Lanciata nel bel mezzo della "questione israelo-palestinese" senza libretto di istruzioni.

Lo scenario: in seguito all'attacco della Flottilla la comunità internazionale si ricorda di Gaza. Bisogna trovare una soluzione - lo dice anche il Papa. Gli Stati Uniti si sentono chiamati in causa, che fare. Decidono di sanzionare l'Iran per avere come merce di scambio l'allentamento del blocco a Gaza e la crescita della loro visibilita' internazionale come "problem solving" in Medioriente.

Le conseguenze:

- la Turchia, gia' spostata sull'asse Russia, viene tagliata fuori e grida alla mancata occasione di trattativa con l'Iran e di parte dei giochi
- le sazioni all'Iran si rivelano un fake mediatico --> (niente transazioni finanziarie e blocco di licenze per sospette attivita' legate al nucleare. Le societa' incriminate si spezzettano in moltissime micro societa' non controllate ne' controllabili. Le Bonyad, altro esempio, non sono controllate ne' sanzionate e stanno passando sotto le mani dei Pasdaran).
- gli Israeliani, in un altro fake meditiatico, se la cavano (per ora) facendo arrivare un po' di succhi di frutta e marmellate a Gaza, dicendo che cosi' hanno allentato l'embargo
- L'italia, per non sapere ne' leggere ne' scrivere, dopo aver fatto dire cose turpi a Frattini e dopo aver rifiutato di inserire la tortura nel Codice Penale, resta in linea con Israele

Mi rimangono molti dubbi e perplessita' ma a volte mi chiedo se siamo in un Truman Show, dove le pedine rilanciano e fanno eco a comunicazioni che poi non sono effettivi passi governativi. La comunicazione vince sulla realpolitik?